Inizia il nostro viaggio nel Regno di Cambogia, a bordo di un autobus con l’aria condizionata. Dai finestrini scorre la natura come nei fotogrammi di un film muto, una striscia azzurrissima sopra, puntinata di bianco, una striscia nera di alberi lontani nel mezzo, e una striscia verde e blu sotto: le spighe di riso ballano mosse dal vento e cadono sotto i colpi degli agricoltori. I cavi elettrici lungo la strada sono un pentagramma irregolare, tante righe nere che graffiano le nostre foto.
Ogni tanto sbuca dalle risaie una palafitta. E’ strano vedere come cambia il paesaggio umano in così poco tempo, e quanto prosperi appaiono i focolari thailandesi davanti ai quali siamo passati poco prima, a confronto della placida povertà delle famiglie che vivono nelle stamberghe al bordo di queste risaie, in baracche di legno bagnato che sembra debbano sprofondare nell’acqua melmosa da un momento all’altro e affondano invece immarcescibili nella terra profonda. Il riso è, per queste persone, la vita; il loro pane quotidiano. La Cambogia è uno dei paesi più poveri della terra, ma la gente non soffre la fame; forse è questo il motivo della calma rassegnazione che si legge sui volti del popolo Khmer. Una scodella di riso e il quieto vivere sono un tesoro da custodire gelosamente, per chi ha visto uccidere i propri cari con un colpo di zappa in testa, con le foglie acuminate della palma da zucchero, con la canna di un fucile. I vecchi sopravvissuti a Pol Pot hanno il cuore macchiato del sangue di quei giorni, e trasmettono ai giovani la paura che l’orrore possa apparire di nuovo, dal nulla, come in quella notte del 1975.
Nini, il gestore della nostra guesthouse a Siem Reap, sembra un uomo felice. Gli piace terminare le frasi con una risata dolce, mentre controlla con la coda dell’occhio i figli che si rincorrono in giardino. Ci presenta Thea, un ragazzo alto e magro con un bel caschetto di capelli neri, che ci porterà per tre giorni col suo tuk tuk in giro per i templi di Angkor. Dopo la scuola dell’obbligo ha studiato da elettricista, per poi decidere di spostarsi in città a lavorare come guidatore di tuk tuk. I tuk tuk, in Cambogia, sono dei motorini con dietro attaccato un rimorchio che può trasportare fino a quattro persone; è incredibile con che agilità riescano a infilarsi tra le macchine.
Quello di Thea è tutto nero, uno dei più belli che ho visto in giro; un’amaca nascosta nel tettuccio torna utile nelle lunghe attese tra un tempio e l’altro. I guidatori di tuk tuk non possono entrare dentro ai templi, perché solo le guide autorizzate possono accompagnare i turisti. Per diventare una guida dei templi di Angkor bisogna sostenere un esame di storia, conoscere perfettamente una lingua straniera e comprare una licenza molto cara. Le guide che parlano inglese sono le più richieste, ma anche quelle in numero maggiore – tanto che l’offerta supera la domanda. Molte guide parlano francese e spagnolo, ma sono quelle che parlano russo quelle che chiedono la tariffa più alta: come nelle Alpi e in Costa Azzurra, dove cominciano ad apparire menù in cirillico fuori dai ristoranti, i turisti dell’Est Europa sono i più ricchi ed esigenti. Thea si sveglia ogni giorno all’alba per andare a lezione d’inglese fino alle nove del mattino, quando sale sul tuk tuk. Lo parla bene, ma ancora non abbastanza per poter sostenere l’esame da guida; però ci si capisce sempre, quando ci si vuole capire. Conosce bene la storia del suo Paese, il passato glorioso e remoto dell’impero Khmer e il passato prossimo e infame del genocidio. Suo padre era professore all’università di Phnom Penh, si è salvato seppellendo i suoi libri, fingendosi contadino, nascondendo l’orgoglio dietro una sciarpa a quadretti. Thea ha la stessa mia età, e quando racconta la storia della sua famiglia i suoi occhi neri brillano di rabbia impotente. Poi scuote la testa e comincia a parlare con Angelo di calciomercato: storie così lontane, unite da un pallone che rotola.
Info utili
Siamo arrivati a Siem Reap via terra dalla Thailandia, ne abbiamo parlato qui.
Abbiamo dormito alla Sweet Dreams Guesthouse, in una doppia spaziosa e pulita con bagno a 10 dollari circa per notte. Il gestore, Nini, è gentile e disponibile.
Il biglietto per i Templi di Angkor costa 20 dollari per un giorno, 40 dollari per tre e 60 per sette. Non basterebbe un mese a visitare nel dettaglio questo monumentale complesso, ma tre giorni intensi sono un buon inizio. Noi abbiamo scelto di spostarci da un tempio all’altro in tuk tuk, al prezzo di 20 dollari al giorno (contrattando, si può arrivare anche a 12). Molti scelgono di girare i templi in bici… un’esperienza meravigliosa (e sicuramente più economica), ma anche molto faticosa!
Bellissimo post. Raccontare delle storie personali e del contesto sociale del posto che si visita é la testimonianza più vera e profonda che si possa fare.
Francesca
Grazie delle belle parole Francesca! I luoghi sarebbero aridi senza persone ad abitarli con le loro storie… e le storie della Cambogia sono pazzesche, nel bene e nel male. Ti consiglio a questo proposito Il racconto di Peuw bambina cambogiana, l’ha pubblicato Einaudi con la curatela di Natalia Ginzburg un mucchio di anni fa ma forse si trova ancora in libreria. E’ una testimonianza molto forte degli anni di Pol Pot, scritto da una sopravvissuta poi rifugiatasi in Francia.
Ciao,
Giulia
Grazie per il suggerimento Giulia! A presto, Francesca
bell’articolo!!