Quando comunicai che un mese in Laos sarebbe stata la meta del mio viaggio di nozze, tutti i miei amici, anche quelli che si ritengono dei viaggiatori, mi risposero con un indelicato: “Ma che ci vai a fare per tutto quel tempo!” Bene, ora posso dire con certezza, che più di ogni altro luogo del mondo, il Laos ha bisogno di tempo.
Perchè il Laos non è un luogo da visitare, ma uno stato della mente: la vera difficoltà consiste nell’abituarsi ai ritmi lenti e rilassanti della sua gente. A tratti, tutto è così quieto, da sembrare immobile.
Iniziamo con un’immersione nella placida e sgangherata capitale: Vientiane.
A ridosso del Mekong gode di un clima meraviglioso. Il lungo fiume, ormai completamente ristrutturato è meta di lente passeggiate di coppiette e famiglie, che trascorrono il tempo mangiando in uno dei tanti baracchini e bevendo Beer Lao, l’orgoglio nazionale. Come in tutto il paese, le mete turistiche principali si concentrano intorno ai Wat, i complessi monastici.
Il principale è Pha That Luang (grande stupa) riconoscibile per il luccicante rivestimento di lamine d’oro.
Sul lato opposto dei grandi (e un pò inutili, dato il traffico) viali stile Camps Elysee si trova il Patuxai, una sorta di arco di trionfo, molto più suggestivo da lontano, soprattutto se visto dalle fontane musicali situate di fronte. Per pochi centesimi, è possibile salire al piano superiore e godere della splendida visuale sulla città.
Dirigendosi a 20 km a sud, si incontra un parco a tema religioso davvero unico nel suo genere: il Xieng Kuan (parco del Buddha).
Fu costruito nel 1958 dall’estroso quanto autorevole artista-architetto-sciamano Bunleua, con l’intenzione di mescolare elementi dell’iconografia induista ai principi del buddismo. Il risultato è un susseguirsi di 200 statue tra buddha, divinità induiste e animali sacri.
Decisamente più interessante e mistica è la visita di Luag Prabang. L’antica capitale è oggi il centro buddista più visitato del Paese. I laotiani rispettano i principi del buddismo theravada, dove far felice il prossimo è il cardine di ogni azione ” se tu non non sei felice, come posso esserlo io?”
Ogni mattina, prima del sorgere del sole, una armoniosa colonna arancione inizia il Tak Bat, la questa del mattino. I giovani bonzi elemosinano cibo e denaro che serviranno per il monastero. I devoti li aspettano: i mantra dei monaci serviranno a benedire loro e le loro piccole botteghe.
Le attività a Luang Prabang non mancano di certo: dal Palazzo Reale (oggi Museo Nazionale), ai 54 templi disseminati nel piccolo centro di 20.000 anime circa. Il principale è il Vat Xieng Thong, patrimonio dell’Unesco, che si raggiunge salendo centinaia di gradini ma da cui si gode un tramonto spettacolare.
Se siete interessati ad approfondire gli aspetti della religione laotiana dovete sapere che i monaci (soprattutto i giovani) parlano benissimo l’inglese e è un piacere disquisire con loro di politica, religione o di attualità.
Se volete immergervi invece nella Natura, godetevi il Mekong da una lunga piroga a motore. Vi saliranno alla mente tutte le scene di Apocalyps Now.
Si raggiungono le cascate Kuong Si e gli adiacenti villaggi tribali Hmong, che, come in Cambogia, allevano gli elefanti (in Laos convivono centinaia di etnie differenti, disseminate su tutto il territorio).
Da qui, con una traballante barchetta di legno si raggiunge la grotta di Pak Ou, luogo di culto che ospita numerose statue del Buddha, ex-voto e donazioni della gente del posto.
Sicuramente anche il vostro barcaiolo vi accompagnerà nei villaggi vicini a vedere l’artigianato locale: tra tutto restiamo affascinati dagli improbabili liquori in cui macerano minacciosi ragni giganti, serpenti e altre forme animali. Superato lo shock visivo, il sapore non è per nulla malvagio.
Considerando che in Laos si mangiano di tutto (al mercato abbiamo visto vendere anche topi essiccati), un serpente è davvero il male minore.
Lasciamo Luang Prabang in direzione dei popoli delle montagne, nell’estremo Nord, al confine con la Cina. Destinazione Phongsali.
In questa regione è la natura selvaggia a farla da padrona. Situata a ridosso della foresta pluviale, altezza di circa 2500 mt, si trovano le piantagioni di the più alte del mondo. Ci immergiamo nella vita del luogo con un trekking di 3 giorni che comprende la raccolta del the con le tribù locali e il pernottamento in villaggio.
Il tempo è davvero inclemente: una pioggia leggera ci perseguita durante tutta la nostra giornata di lavoro.
Le nuvole sono così basse che non si vede dove si cammina. L’esperienza è stata davvero faticosa – siamo pur sempre in viaggio di nozze! – ma ne è valsa la pena.
Dopo 7 ore di lavoro, zuppi ma felici, ci rechiamo dal capo-villaggio per la cernita delle foglie e la pesa del raccolto.
Ci offre un the e ci da il suo benestare a muoverci liberamente nel villaggio. Siamo gli unici turisti e non passiamo di certo inosservati. Dalle case con il tetto in lamiera, i bambini lasciano i loro giochi e le bambine i lavori domestici, per venire a guardarci. Osserviamo la vita che scorre lenta e monotona davanti a noi.
Scorgiamo qualche donna Aka, riconoscibili per il copricapo tradizionale ricoperto di monete d’argento.
Ripartiamo con il dispiacere nel cuore. Questo è stato il posto più magico della mia vita!
Nonostante si possa scendere fino a Lang Prabang percorrendo il fiume Nam Ho, scegliamo il bus.
Un tragitto folle su uno scalcinato autobus indiano che sarà interrotto a metà strada a causa di una frana sulla carreggiata.
Continuiamo il tragitto verso Vang Vieng in autostop, caricati su cassoni di Beer Lao, minivan e anche una lussuosa auto di un diplomatico.
Vang Vieng si apre alla nostra vista come un tripudio di colori. Le falesie di calcare nere si specchiano sull’acqua limpida dei fiumi. Qui tutto è all’insegna del divertimento (attenzione: solo qui, in tutto il Laos, troverete bar aperti fino a tarda notte). Lo sport praticato dai turisti è il tubing, galleggiare placidamente su grosse camere d’aria bevendo birra come se non ci fosse un domani.
Affittiamo per pochi dollari una moto e ci perdiamo nelle campagne circostanti: visitiamo le grotte Tham Jang … una sudata indimenticabile ci rinfreschiamo nell’affascinante Laguna Blu, ci immergiamo in decine di grotte naturali dai colori brillanti.
Purtroppo negli anni Vang Vieng sta diventando meta di un turismo irresponsabile e rumoroso: ogni anno, giovani ubriachi muoiono facendo tubing, in preda all’alcol e anche a qualcosa di più illegale.
Da ora in poi ci dirigiamo verso Sud, per raggiungere Siphandone, meglio conosciute come 4000 islands. Sostiamo poche ore a Pakse per vedere come si produce la carta con metodi tradizionali. Proseguiamo per Champasak alla scoperta del Wat Phu, un sito archeologico patrimonio dell’Unesco, paragonato all’Angkor Wat … anche se, diciamolo, si sono un pò allargati! Da qui con un breve trekking di circa 4 ore raggiungiamo le maestose cascate Tat Fane. Il profumo di frangipane è inebriante. Ci spostiamo ancora a Sud, a Siphandone fino all’isola di Don Khong, formata dalla ramificazione del Mekong così vicina alla Cambogia che sembra di poterla toccare. Qui ci si perde tra i boschi di bambù, per raggiungere le cascate Li Phi, fragorose e imponenti.
Anche in questo tratto di fiume è possibile avvistare i delfini d’acqua dolce del Mekong, ma solo in alcune stagioni.
Sono delfini ciechi, che abbiamo avuto la fortuna di vedere in un’altra avventura in Cambogia.
Qui, turisti e locali, si dondolano per ore sulle amache in riva al Mekong.
Un mese è terminato. E’ ora di ripartire.
Mentre una brezza leggera si alza dal Mekong, con il Nop (inchino) salutiamo questo grande paese e la sua gente
salutiamo questo grande fiume, scenario di drammatiche vicende, salutiamo i suoi indimenticabili tramonti.
Se ti interessa, parlo di Laos anche qui ; altre foto invece sono qui issuu.com/lararuzza/docs/laos
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