Piave: partiamo dall’inizio, dal mare

Tramonto nella via d'acqua che porta fino a Torcello

Un fiume non è solo un tratto di acqua, che nasce in una montagna e si ingrossa sempre di più per arrivare al mare. Non è solo una corrente, un tratto del paesaggio, è una molteplicità di storie, di ricordi e di emozioni, come sono molteplici le acque che lo formano. Come poterle raccontare, non dico tutte, ma almeno dare un senso di questo fluire di vite che un fiume accompagna ed in particolare il Piave, così denso di storia? Sicuramente partendo dall’inizio, dalle sue foci, a due passi dalla laguna di Venezia.

Bilance sospese sulle foci della Piave, Cortellazzo
Bilance sospese sulle foci della Piave, Cortellazzo

Cortellazzo è un piccolo borgo, dove ancora si vedono traccia del passato, nei piccoli pescherecci o nelle bilance che tirano sù pesci di acqua dolce e di acqua salata. Qui siamo in una zona di confine, dove i limiti tra mare e fiume sono incerti, dove si vede l’Adriatico a pochi metri, oltre i canneti che nascondono canali e ramificazioni, e che con esperienza si possono navigare fino a Trieste. Qui sfocia la Piave. I fiumi erano femminili un tempo, perché l’acqua nelle varie culture del mondo è sempre stata donna, solo con la fine della Prima Guerra Mondiale e le numerose tragiche battaglie combattute proprio lungo i suoi argini, questa madre feconda e generosa cederà il passo alla retorica bellica, maschilista.

Il fiume che scende dalle montagne di Sappada, nel nord del Veneto, un tempo aveva le sue foci naturali nella laguna di Venezia. Furono i Veneziani nel’600 a deviarne l’ultimo tratto per evitare l’interramento del loro habitat secolare e fare così incontrare il fiume con il mare qui, vicino a Jesolo.

A pelo d'acqua, nei canali, Cortellazzo
A pelo d’acqua, nei canali di Cortellazzo

La bellezza di questi luoghi può sfuggire al viaggiatore se si limita ad un’occhiata veloce dalla terraferma, bisogna immergersi per coglierne la totalità, passando dallle acque dolci fino a sfociare nel mare e da lì poi infilarsi in qualche canale. La visione dell’acqua e del mondo che crea attorno a sè cambia completamente dal suo interno.

Barene e canali, Lio Maggiore
Barene e canali, Lio Maggiore

Questa incertezza, tra terra ed acqua, tra fiume e mare, sarà ancora più forte proseguendo il mio viaggio. Poco lontano da Jesolo, tra le campagne che convivono con l’acqua, ecco Lio Maggiore, uno spazio lontano dalla concretezza della pianura veneta, dai suoi campi, le sue strade ed il suo cemento. Affacciato sulla laguna nord di Venezia, dove un tempo sfociava la Piave, la sensazione è di essere altrove, in un luogo dove la natura può affascinare, ancora libera. Qui si cammina su un terreno sottile coperto dalla poca vegetazione che ama l’acqua salmastra, ci si muove con attenzione, per non cadere, quasi a non voler disturbare e si è come avvolti da questo regno quasi onirico, di fenicotteri e canneti, dove l’unica presenza umana sono pali di legno a tracciare una via che non faccia perdere il navigante in questo mondo lunatico, che muta continuamente seguendo il ritmo delle maree. L’aria che si respira sa di sale mentre il sole tramonta ed è tempo di salpare nuovamente.

Con una piccola barca lascio la terraferma incerta e mi muovo tra le barene, striscie di terra periodicamente sommerse dalle maree, dove cresce una vegetazione tenace che riesce a sopportare il sale e che impiega vari decenni per consolidarsi. Seppur aspro è un ambiente delicato e prezioso che difende la laguna di Venezia, rifugio per numerose specie di uccelli e fonte di fascino. Questa è forse la parte meno conosciuta della laguna veneta, che è la radice di Venezia, ma che lì, tra le pietre, non si vede e che al massimo è un contorno nei viaggi verso le isole minori. Qui è invece la protagonista, non ci si può distrarre con i palazzi e le chiese, con le architetture insolite e arrischiate del capoluogo, qui c’è solo l’acqua e sottili strisce di terra.

Panoramica delle barene, Lio Maggiore
Panoramica delle barene, Lio Maggiore

Il sole scende e dopo aver acceso di rosa e rosso l’acqua, fatto diventare neri i contorni già incerti delle sponde, invita a ritornare verso la terraferma. Prima di volgere le spalle al tramonto mi fermo qui, sugli argini, fino all’ultima luce disponibile. Presto l’orecchio a qualche uccello in volo, cammino sui sottili camminamenti e salgo sulla torrretta di legno di fronte alla laguna, dove la vista spazia e in lontananza sembra quasi di scorgere il campanile della chiesa di Santa Maria Assunta a Torcello. Tra i piccoli e costanti suoni dell’acqua e della terra che si fondono c’è l’eco della storia, delle migrazioni che crearono le isole veneziane, delle popolazioni dell’entroterra che sfuggivano gli Unni e poi i Longobardi. Ora però la quiete della sera prevale su ogni cosa, la calma della laguna così lontana dall’imprevidibilità del mare e dei fiumi che la nutrono allontana ogni pensiero e riempie ogni spazio disponibile. Rimane solo lo sciabordare quasi impercettibile dell’acqua, i contorni delle terre emerse e le luci della notte che si accendono in lontananza.

Tramonto nella via d'acqua che porta fino a Torcello
Tramonto nella via d’acqua che porta fino a Torcello

A Cortellazzo ho mangiato al ristorante “Ai pescatori” con del buon pesce preso direttamente nei pressi delle foci del Piave, approfittando inoltre della bella vista sul paesaggio lagunare di questa zona di confine tra mare e fiume. A Lio Maggiore ho alloggiato presso l’agriturismo La Barena che si affaccia direttamente nella laguna veneta e che alleva il pesce cucinato nel proprio ristorante. La struttura affitta delle imbarcazioni che non hanno bisogno di patente nautica per essere pilotate e grazie alle quali, tra canali ben segnalati, si può arrivare fino a Torcello e Burano.

Ringrazio per l’esperienza e la conoscenza di luoghi a me vicini fisicamente ma quasi sconosciuti l’associazione Perdipiave ed il Consorzio bacino imbrifero montano del Basso Piave Provincia di Venezia.

 

 

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