“Grazie a Dio siamo usciti da questa valle della morte” Fu questa espressione di uno dei superstiti dei 49rs, un gruppo di mormoni, che capitò nel deserto a cavallo di California e Nevada durante il periodo della conquista dell’ovest (la famosa Corsa all’oro).
La “Valle della Morte” non è tanto diversa da altre zone desertiche del mondo, è un po’ più profonda, un po’ più calda e un pò secca. Quello che cambia è la nostra immaginazione che evoca immagini di ricchezze passate, di mistero e di morte.
Ma andiamo per gradi.
Immaginate di partire da Los Angeles, lasciatevi alle spalle l’oceano, le autostrade a 9 corsie, la scritta di Hollywood e gli studios cinematografici. Le miglia che separano la costa dal deserto sono tante quindi conviene partire a metà mattinata e fare una sosta per pranzo.
Baker é infatti l’ultimo polveroso avamposto di civiltà fuori dal parco naturale della Death Valley. Un grande termometro, che segna costantemente i gradi più alti raggiunti nella valle, e il vento caldo che comincia a soffiare sono i primi due moniti delle alte temperature che da lì a poco dovrete affrontare.
Un consiglio puó essere quello di fare abbondante benzina, comprare alcuni litri d’acqua, qualche bevanda zuccherina o frutta disidratata. Tutte queste cose vi aiuteranno ad affrontare con più serenità il viaggio.
La valle comincia con bassa vegetazione verdeggiante e alte vette dai toni aranciati e più la strada prosegue e più il terreno si fa arido fino ad arrivare nella zona di Badwater, un antico bacino armai prosciugato del quale é rimasta sola una distesa di sale. Qui si regista anche il punto più basso sotto il livello del mare di tutti gli Stati Uniti.
Poco più avanti, in un tramonto straordinario, inizia l’ Artist’s Palette, una stradina racchiusa tra le rocce piena di toni di colore dai rossi ai verdi, dai celesti ai viola. Le rocce prendono colore dai vari minerali concedendo al visitatore la percezione di essere proprio dentro la tavolozza di un pittore.
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Con il cielo decisamente scuro c’é l’arrivo a Furnace Creek, uno dei due centri di ristoro all’interno del parco. Aspettatevi un grande ranch immerso nel deserto sassoso.
Appena scesi dalla macchina quello che colpisce nuovamente é il vento caldo, una sorta di phon acceso, che scalda l’aria e fa bruciare gli occhi. L’unica soluzione di refrigerio è un bagno all’interno di una grande e fresca piscina dove le ore della sera passano lasciando spazio ad un cielo stellato mai immaginato. La via lattea e le costellazioni sono completamente visibili, la volta celeste avvolge tutto e tu umano abituato al cielo grigio delle nostre zone rimani a bocca aperta e fai fatica a staccare gli occhi dall’alto sapendo che pochi posti al mondo offrono cieli stellati di così tanta bellezza.
I colori dell’alba nella Death Valley sono tutti i toni pastello del giallo e del rosa, ma, sotto c’é un celeste intenso che aspetta di uscire.
Gli estremi della giornata sono gli unici due momenti nei quali si é in grado di visitare i punti panoramici senza faticare nel grande caldo.
Così ci si puó dirigere nella zona di Stovepipe Wells per ammirare le dune sabbia (un piccolo deserto sabbioso immerso in una distesa di pietre) e il Mosaic Canyon fatto con rocce marmoree dai toni rossicci e dalla conformazione particolare. E lì nel mezzo, nella solitudine più assoluta, quello che colpisce di più, insieme ad una natura così misteriosa, é il silenzio interrotto solo dal proprio e altrui calpestio. Staresti delle ore a sentire quel vuoto di rumori al quale né l’Italia né tanto meno l’America ti hanno abituato.
Dopo una buona e bizzarra colazione, sempre al ranch, in vero stile vecchio west, l’ultimo luogo da vedere é Zabriskie Point, conosciuto nel film di Antonioni, che come una grande terrazza apre la vista su tutta la Death Valley permettendo l’ultimo saluto a questa bizzarria della natura.
Il resto é solo un veloce e dinamico avvicinamento verso Vegas o un ritorno verso la grande metropoli losangelina. A voi la scelta.