Le Maldive sono isole conosciute per la loro esclusività, per il lusso, per la loro bellezza ed unicità. Devo dire che, da notizie che ho ricevuto da ex colleghi, ultimamente le Maldive stanno abbassando anche il target di clientela e si stanno rendendo più accessibili. È un modo per farsi conoscere anche da chi ha meno possibilità economiche e mostrare a più persone il lato che più conosciamo, quello che le agenzie e i tour operator mostrano nei cataloghi. Ma c’é un lato che molti non vedono e che non conoscono. È quello delle isole dei nativi, quei luoghi lontani dal lusso e dagli occhi dei turisti.
© Natalia Davidovich / Shutterstock.com
Io ho avuto la fortuna di andare alla Maldive diverse volte. A Malè, la capitale, la vita tutto sommato scorre spensierata, tra strade sterrate e mal illuminate e bar con insegne al neon, vera fonte di illuminazione delle stesse, dove i giovani si ritrovano a chiacchierare e a mangiare, senza il vincolo dei social network, in quanto la connessione arriva a malapena.
Ma è nelle isolette che si vede la vera vita maldiviana. Quando passi con l’idrovolante ti accorgi che l’isola è abitata dai nativi e non dai turisti per l’altissima e immancabile antenna per le telecomunicazioni, che gli permette di ricevere qualche canale televisivo e forse una connessione dati. Qui si vive di pesca e di un po’ di commercio. Il ritmo delle giornate è scandito dal canto del muezzin 5 volte al giorno. Non vi sono smartwatch o ipad o orologi da parete a indicare l’ora. Il salto indietro nel tempo si vede a occhio nudo.
Ci sono circa 40anni di differenza tra i resort e le isolette. Nei resort ci si districa tra massaggi, spiaggia, bagni, internet, ed i bambini vengono piazzati al kids club con buona pace dei genitori. Qui i genitori non si preoccupano minimamente dei figli, tanto sanno sempre dove trovarli: al campetto da calcio, costituito da terra marrone e due pietre a delimitare la porta. Di solito è la madre, coperta dall’Al-Amira, che li va a recuperare mentre gli uomini lavorano o in mare o in alcuni resort. Quando piove, i ragazzi sanno già che fare: mollano tutto e corrono a casa a preparare bacinelle e catini per recuperare quanta più acqua piovana da utilizzare per vari scopi. Le piogge sono talmente irruente e rapide che si cerca di recuperare quanta più acqua possibile. L’acqua corrente quasi non esiste, e arriva da Malè via barca.. sempre se la barca arriva.
Queste notizie le ricevo da un amico che spiega a me e a dei turisti come sia la vita nelle isolette. I ragazzini che giocavano al campetto lasciano la partita per venirci a chiedere dei soldi ma soprattutto per ammirare i “bianchi”, tre persone simili a loro provenienti da chissà quale pianeta, venuti qui nell’atollo Lhaviyani a vedere la vita locale. La loro curiosità ci stupisce, ci ammirano curiosi e sorridenti. I loro sorrisi sono sinceri, profondi e provenienti dal cuore. Tutt’intorno macerie, case diroccate, vegetazione selvaggia, ma loro non hanno niente e sorridono di gioia. Tutto il contrario di alcuni turisti che vedevo nei resort: sorrisi forzati, seppur fossero circondati da ogni tipo di confort.
Se non avete occasione di recarvi in una di queste isole ma ne volete un piccolo assaggio, addentratevi nelle cosidette staff area, zone riservate alla ricreazione del personale. Qui ci sono camere dove il personale si ritrova in sei con un bagno comune; dove l’impiegato del mese che guadagnerà 100 dollari in più festeggerà come un bambino, perchè sa che potrà sfamare la sua famiglia un po’ di più visto che quei cento dollari sono un terzo del suo stipendio; dove la spesa, fatta al negozio di generi di prima necessità, costa dai quattro ai sei dollari mentre in italia costa dieci volte di più.
Ma le scene più assurde le ho viste durante la mensa per l’ora del tè delle 16. Quello che non veniva utilizzato nel buffet della colazione per i clienti, veniva “riciclato” per i dipendenti, i quali cinque minuti prima dell’ora citata si accalcavano davanti alle porte della mensa. L’apertura delle porte era equivalente allo sparo dello starter. Scattava una gara a chi si accaparrava più cibo. Nel giro di 5 minuti tutto era spazzolato via e non vi rimaneva traccia. Un giorno, mentre sto andando anch’io al tea time con un collega, questi mi dice di sbrigarmi in quanto non avremmo trovato nulla. Gli chiedo come mai tutto quel cibo venisse spazzolato con la forza di un tornado. Mi risponde “Hai mai visto un Maldiviano o un Indiano fare colazione con brioche e muffin? No, vero? Ecco questa è l’unica occasione che abbiamo per mangiarli.” In effetti, tutto quel ben di Dio, era un miraggio che si materializzava per soli 5 minuti al giorno.
Le Maldive restano comunque un paese dalle forti contraddizioni, dove i guadagni delle compagnie finiscono all’estero e i benefici per i residenti sono alquanto limitati. Nonostante tutto, il popolo delle isole continua a non perdere il sorriso e la voglia di vivere pur non avendo nulla, al contrario di molti turisti, insoddisfatti del lusso più sfrenato.
Foto © Shutterstock.com