Il mio viaggio in Messico parte da Cuernavaca, ospite di un parente che vive lì, a circa 70 km a sud di Città del Messico.
Cuernavaca è conosciuta come la città dell’eterna primavera e il suo clima mite tutto l’anno l’ha resa particolarmente attraente per chi vuole fuggire dal caos infernale della capitale. Proprio per questo, però, la città è esplosa e i bei quartieri residenziali si affiancano oggi a sobborghi malfamati e pericolosi. Tutto questo mentre da lontano il Popocatépetl (Popo per i locali) sembra osservare dall’alto dei suoi 5452 metri di pennacchio fumante l’evolversi pacato di questa civiltà.
Il centro della capitale dello stato di Morelos è davvero elegante: il zòcalo corrisponde a Plaza de Armas, dove si possono visitare il Palacio de Cortés e il Palacio de Gobierno. Il primo, in stile medievale, fu costruito nella prima metà del XVI sec. sui resti di una piramide azteca fatta distruggere dall’omonimo conquistador spagnolo che risiedette qui fino al 1540. Oggi il Palacio de Cortés ospita il Museo Regional Cuauhnàhuac, dove è illustrata la storia delle popolazioni che hanno abitato il Messico, a partire dalla civiltà precolombiane fino alla storia più recente, caratterizzata dalla personalità di Emiliano Zapata, che all’inizio del ‘900 combatté affinché i latifondi coloniali fossero ridistribuiti ai contadini di Morelos. Gli stessi eventi storici nella loro violenza e drammaticità sono rappresentati qui in un grande murales di Diego Rivera.
Vale la pena anche fare due passi nei Jardìn Borda, ideati su modello di Versailles nel XVIII sec. da José de la Borda, ricchissimo magnate dell’argento che era solito passare qui il periodo di villeggiatura. Dal 1866 la residenza passò nelle mani dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo e di sua moglie Carlotta.
La Cattedrale della città fu costruita con uno stile imponente, quasi fosse una fortezza, ma al suo interno ospita affreschi che ricordano l’importanza dell’attività missionaria francescana; in generale stilisticamente l’interno è un mix di elementi decorativi indigeni ed europei.
Passeggiare per Cuernavaca, pur essendo trafficata, è piacevole, specie nella zona del zòcalo (il cuore storico), dove è facile imbattersi in persone che si esibiscono nel danzòn, un ballo popolare di origine cubana che da Veracruz si è poi diffuso in buona parte del Messico. Mi raccontano che alcuni pensionati, esperti di questa danza malinconica ma allo stesso tempo coinvolgente, si trovano qui una volta alla settimana per far ballare persone più giovani, di modo che non si perda la tradizione.
Gli amanti dell’arte non possono perdersi il Museo Robert Brady, famoso collezionista che ha raccolto qui decenni di viaggi per tutto il mondo, accostando opere di autori, stili ed epoche diverse.
Per la sera due chicche imperdibili. Per godersi un ottimo margarita prima di cena consigliatissimo Las Mañanitas (Ricardo Liñares 107): due secondi prima sei nel chiasso di Cuernavaca, appena dopo ti ritrovi nel silenzio raccolto di questa ex casa colonica dove c’è uno dei più bei boutique hotel della città. Illuminazione a lume di candele e simpatici pavoni che passeggiano tra i tavoli nel curatissimo giardino.
Se amate il buon cibo in un contesto incantevole consiglio vivamente il VerdeSalvia (?Rio Amacuzac 10, Colonia Vista Hermosa): al centro della corte di questa antica villa si trova un giardino dove piante tropicali lussureggianti si alternano a splendide sculture contemporanee dalle linee essenziali. Da un albero pendono delle raffinate sfere di cristallo che specchiano la luce soffusa del ristorante, molto moderno e arredato con pezzi di design Kartell. Il servizio è impeccabile, la cucina, guidata dallo chef Fabio Peiti, è internazionale e molto valida, così come il sottofondo di musica live.
A una quarantina di chilometri a sud ovest da Cuernavaca si può visitare il sito Unesco di Xochicalco, sito archeologico il cui nome significa “luogo della casa dei fiori”. Il centro commerciale, culturale ed economico di Xochicalco vide il massimo splendore tra VII e X sec. d.C. , periodo nel quale i sacerdoti zapotechi, maya, toltechi e olmechi cominciarono ad incontrarsi in questo luogo, in particolare presso la Piramide de Quetzacoatl, per mettere in correlazione i rispettivi calendari. Oltre alle rovine disseminate sull’altopiano, è possibile visitare il museo, molto ben custodito, aperto fino alle 17.
A settanta chilometri circa a sud ovest di Xochicalco si trova Taxco, un luogo a mio parere incantevole perché pittoresco e perché rappresenta il colore del Messico, il suo chiasso e anche il disordine di un luogo che si prepara ad esplodere, non solo demograficamente, ma anche seguendo la modernità che qui fa a pugni con alcuni elementi anni ’50. Mi chiedo cosa vedrò se dovessi tornare tra 20 anni.
Questo borgo, che deve la sua fortuna all’estrazione dell’argento (cospicui filoni vennero scoperti già dai conquistadores intorno al 1530), è abbarbicato su una collina e percorso da viuzze strette (ma comunque trafficate) e ripide. Gli edifici sono mantenuti secondo lo stile coloniale, in particolare i numerosi negozi che vendono monili d’argento, il souvenir tipico della città.
Oltre a lasciarsi conquistare dai contrasti di Taxco, così contesa tra turismo e autenticità, vale la pena visitare la Parroquia de Santa Prisca, in Piazza Borda, un trionfo di sculture e decorazioni barocche, per la cui realizzazione il riccone della regione, José de la Borda, andò quasi in rovina.
Di ritorno da Taxco, ci fermiamo in un luogo sospeso nel tempo: l’Hacienda San Gabriel (Km-41,8 Carretera Federal Cuernavaca – Chilpancingo, Amacuzac).
Si tratta di una splendida struttura del 1500 tenuta benissimo e immersa nel silenzio della natura, fatta eccezione per il canto degli uccelli e i discreti rumori della manutenzione. Un vecchio mulino, una cascata, numerosi cortili adornati da lussureggianti piante tropicali s’integrano in un ristorante piuttosto esclusivo fronte piscina, anche questa dalla forma non scontata. Ho trovato i miei camarones cotti nel cocco e accompagnati dal succo di mango molto buoni e ho letto ottime recensioni anche per quanto riguarda l’hotel dell’hacienda, ma consiglio un salto in questo paradiso anche solo per un drink.
Prima di partire per una settimana in Baja California, passiamo un paio di giorni a Città del Messico, il DF (Distrito Federal) come lo chiamano qui. Premesso che questa città trafficatissima e inquinatissima non mi ha conquistato, vi racconto ciò che più mi è rimasto nel cuore (a discolpa di questa rumorosa capitale, composta da 350 quartieri, va detto che due giorni sono davvero pochi per capirla).
La storia culturale di questa città passa necessariamente attraverso due figure chiave: Diego Rivera e Frida Khalo. Del primo imperdibili sono i murales nel Palacio Nacional, nel cuore della città, nel zòcalo, cioè la gigantesca Plaza de la Constituciòn.
Siamo nel Centro Hìstorico, dove tracce del periodo azteco si mischiano alle testimonianze coloniali e del periodo rivoluzionario. Sopra la porta centrale del Palacio Nacional è visibile la Campana de dolores, suonata da padre Hidalgo nel 1810 come segnale per la guerra d’indipendenza, destinata a liberare solo alcune zone del paese, visto che solo nel 1911 Città de Messico riuscì a porre fine al regime autoritario di Porfirio Diaz.
Entrando nel Palazzo, si ergono maestosi i nove murales realizzati da Rivera tra il 1929 e il 1935, un ottimo spunto iconografico per ripercorrere la storia del paese a partire dal dio azteco Quetzalcòatl, il serpente piumato, fino al periodo post rivoluzionario.
Dalla fine degli anni ’20 il governo promosse la realizzazione di numerosi murales non solo per abbellire la città, ma anche come strumento di politica culturale finalizzata all’esaltazione della storia del paese. In quest’ottica ancora oggi il 15/9 di ogni anno il presidente esegue il rito del “grito”, ovvero urla dal balcone del Palacio Nacional: “Viva México!”.
Uno dei più belli è senz’altro il Sueno de una tarde dominical en la Almeda, in cui Rivera rende omaggio alle figure più significative della storia messicana (sono raffigurati anche l’artista stesso e la moglie Frida). Esso si trova nel Museo Mural Diego Rivera nei pressi dell’Almeda Central, il parco più grande della città. Sempre in questa zona, ad est del parco, si trova il Palacio de Bellas Artes, dove è contenuto El hombre en el cruce de caminos, la copia realizzata da Rivera del murales che aveva fatto a New York per il Rockefeller Center, fatto distruggere dalla famiglia mecenate stessa per i temi anticapitalistici del progetto.
Purtroppo, per motivi di tempo, non sono riuscita a vedere questo interessante museo; ho preferito dedicare mezza giornata al Museo Nacional de Antropologia (in realtà per la varietà di materiale ci si potrebbe fermare un giorno intero).
Questo spettacolare museo si trova sul Paseo de la Reforma, la principale arteria della città, voluta dall’imperatore Massimiliano d’Asburgo per collegare il suo castello al centro storico. Su questo trafficato viale c’è El Angel, una statua dorata realizzata nel 1910 per il centenario dell’indipendenza; intorno alla base del monumento si possono vedere la Legge, la Giustizia, la Guerra e la Pace, mentre figure maschili rimandano agli eroi della storia messicana.
Il Museo Nacional de Antropologia è ospitato in un immenso edificio degli anni ’60, opera dell’architetto Pedro Ramirez Vàzquez. Vedere tutte le sale e leggere tutti i pannelli (anche in inglese) è davvero difficile per la quantità di reperti e informazioni, io mi sono concentrata sulla parte dedicata a Teotihuacàn, dove è riprodotto a grandezza naturale il tempio di Quetzalcoatl, su Mexica, l’area dedicata alla storia azteca, su quella dei Maya, dove c’è la riproduzione della suggestiva tomba di re Pakal.
Un’altra area per me imperdibile è Coyoacàn, un quartiere colorato che sembra alieno da Città del Messico, ricco di piccoli bar tra le viuzze coloniali e sede del Museo Frida Kahlo.
Qui, nella Casa Azul, esplode tutta la voglia di vivere della donna, nonostante i dolori, fisici e psicologici, che hanno caratterizzato la sua esistenza (se non conoscete la sua storia, vi consiglio vivamente il film “Frida”, interpretato dall’attrice messicana probabilmente più celebre, Salma Hayek).
Oltre a conservare opere dell’artista e di suo marito Rivera, qui sono raccolti gli oggetti dell’arte popolare messicana che i due amavano collezionare, nonchè i ricordi della cerchia di intellettuali di sinistra che bazzicavano la Casa Blu negli anni ’30, come Trotsky che, esule dall’URSS, trovò qui una nuova patria (poco lontano si può visitare anche quella che fu la sua casa, dove l’ideologo sovietico fu fatto uccidere da Stalin).
Da Città del Messico il mio viaggio è proseguito per la Baja California, ma questa è un’altra storia…