Ad Amsterdam ho cenato a base di scarti. Ed è stato uno dei pasti più particolari di tutto il viaggio. D’altra parte Instock, il ristorante in zona Oosterpark, appena fuori dalla cintura dei canali, è un locale insolito.
La parola d’ordine è recupero: non solo degli ingredienti utilizzati in cucina, ma di tutti i materiali. Così, l’arredamento è non solo essenziale, ma realizzato con pezzi di seconda mano, dal legno dei pavimenti, alle finestre, alle sedie. L’accozzaglia di pezzi e colori potrebbe essere assicurata, ma non qui: i colori sono tenui, dal marrone chiaro al verde pallido, e l’arredamento minimale si sposa bene con gli interni dall’aria post-industriale.
Non si butta via niente qui: né i lampadari, uno diverso dall’altro e arrivati da chissà dove, né tantomeno il cibo. L’idea di questo gruppo di ragazzi poco più che trentenni nasce dal problema dello spreco del cibo: più di un terzo dei prodotti alimentari viene buttato via per mancanza dei necessari requisiti estetici. In altre parole, oltre il 30% del cibo prodotto finisce nella spazzatura perché è brutto. E si parla di 1,3 tonnellate all’anno.
Chi sono i responsabili? Non solo i supermercati, che rappresentano “appena” il 5% della catena dello spreco. La grande distribuzione spesso acquista in quantità eccessive o ha degli standard troppo elevati. Questo perché i clienti tendono ad acquistare non solo i prodotti migliori ma anche quelli più belli. Così facendo, i consumatori si rendono colpevoli al 42%. La maggior parte del cibo viene infatti sprecata nelle nostre case e, prima che mi venisse raccontato durante la cena da Instock, non avevo idea che ognuno di noi sprecasse più di 100 chilogrammi di cibo all’anno. In effetti la cosa non mi dovrebbe stupire più di tanto: io stessa ho buttato via una mela ammaccata o un carciofo dall’aria stanca, magari con il gambo rotto.
Altrettanto colpevoli sono i produttori, a quota 39%. Anche in questo caso, lo spreco avviene perché un frutto, per esempio, è della dimensione sbagliata o ha un aspetto sgradevole: ai consumatori non piacciono le cose brutte, dunque il contadino le butta via, facendo sì che la catena dello spreco abbia inizio già nelle prime fasi della produzione.
I ristoranti e i bar sono responsabili in minima parte – per il 14% – dello spreco alimentare, pur gettando nella spazzatura tonnellate di cibo ogni anno.
Per cercare di arginare il problema, l’80% delle materie prime utilizzate nella cucina di Instock è cibo invenduto: se gli ingredienti utilizzati non venissero recuperati dai loro food rescuers, finirebbero nel bidone dell’umido. Così facendo, da quando il ristorante ha servito il suo primo piatto, ha contribuito a salvare ben 264.900 chili di cibo.
Come ci ha fatto notare il ragazzo addetto alla sala, un cetriolo ammaccato ha lo stesso gusto di un cetriolo intatto, no? La risposta è semplice, ma non è altrettanto semplice per il personale del ristorante mettere in pratica un concetto che sulla carta sembra molto lineare: meno spreco.
Ogni giorno, i food rescuers partono all’alba per fare il giro dei fornitori: supermercati, mercati, produttori, altri ristoranti. Nel giro di qualche ora, il furgone rientra con il bottino di frutta, verdura, pane, carne e pesce. Non si tratta mai di prodotti scaduti, ma solo di cibo che non rispetta i canoni estetici, oppure rimasto invenduto. A quel punto, lo chef e i suoi aiutanti si inventano ogni volta un menu diverso. Per questo motivo non è possibile sapere in anticipo quali piatti verranno serviti. Chi lavora in cucina non sa fino all’ultimo momento cosa porterà il furgone di uno dei salvatori del cibo, quindi non può fare un programma in anticipo. Arrivano due casse di avocado ammaccati? Allora lo chef li utilizzerà per creare un gelato, che sarà il dolce del giorno.
Serve molta bravura ma anche molta creatività per lavorare in una cucina del genere. Va da sé che la scelta è meno ampia rispetto ad altri ristoranti, anche se vengono sempre garantiti piatti per vegani o per chi ha intolleranze alimentari. Quando ho cenato da Instock, il menu era di ispirazione orientale: zuppa speziata di verdure e pomodori confit, ravioli al vapore con ripieno di manzo e, per finire, gelato di avocado. Il prezzo: poco più di vento euro a testa, bevande incluse. Una cifra democratica, che rende Instock un posto per tutti e non solo per un’élite privilegiata. Come ci spiega il ragazzo in sala, riducendo lo spreco si riducono anche i costi. E poi, per trasmettere il messaggio è necessario che i pasti siano accessibili da quanta più gente.
Da Instock non si limitano a recuperare il cibo: per ottenere il massimo risultato separano con molta attenzione i rifiuti e servono porzioni più piccole della media. Inoltre, da qualche tempo hanno portato il concetto del recupero a livelli estremi, utilizzando gli scarti per creare altri prodotti, come la birra e i cereali per la colazione. La Pieper Bier, per esempio, viene prodotta da un birrificio locale con patate che altrimenti finirebbero nella spazzatura. In maniera simile, da un paio di mesi è possibile provare anche il loro mix di cereali recuperati dai birrifici della città: malto, orzo, segale.
Ma l’esperienza non si conclude a fine pasto, perché si può mettere in pratica la lezione una volta tornati a casa. Il libro Instock Cooking presenta una serie di ricette semplici per dare una seconda possibilità a quella carota triste, abbandonata da giorni nel frigorifero. I loro consigli su come ridurre lo spreco sono chiari e semplici: non comprare quello che non serve; conservare il cibo alla temperatura adatta; seguire la regola del first in, first out, cucinando prima quello che è stato comprato da più tempo. Ma il consiglio che preferisco è quello di condividere il cibo. Con i vicini, gli amici, i parenti. Perché la conoscenza è anche condivisione, e anche attraverso il passaparola ognuno di noi può contribuire a limitare lo spreco non solo di cibo, ma anche di energia e di acqua.
Info:
Aperto Lun-Dom 8:30 AM – 11:00 PM
Czaar Peterstraat 21, Amsterdam
+31 (0)20 363 57 65